In passato la dote era quell’insieme di beni che la famiglia della sposa porgeva in dono al marito una volta uniti in matrimonio, stipulando in forma scritta i cosiddetti “capitoli matrimoniali”.
La sua storia nasce durante l’Antica Grecia, dove essa poteva essere diretta, se offerta dal padre o da fratello della donna, o indiretta se invece costituita dai regali fatti loro durante le nozze, i quali potevano consistere in denaro o schiavi, in base al livello di ricchezza dei membri del nucleo familiare e dagli invitati e non potevano in nessun modo essere utilizzati in quanto eventuale garanzia di sopravvivenza per la moglie in caso di vedovanza.
In Italia la tradizione ha sempre voluto che la dote fosse composta da una cassapanca contenente il corredo, fatto prevalentemente di tovaglie, bicchieri e lenzuola, e la sua mancanza era considerata un fattore capace di ostacolare la ricerca di marito, quale specchio della classe sociale cui apparteneva la donna.
Con il nuovo diritto di famiglia del 1975, è stato messo fine all’obbligo della dote, anche se entrambe le famiglie continuano a voler assicurare agli sposi beni materiali quali, ad esempio, la casa in cui vivere una volta sposati, in maniera tale da creare una continuazione tra passato e presente capace di tramandare valori accumulati con fatica nei secoli.
Se quindi prima il corredo era composto da svariati pezzi, generalmente 12 o multipli di 12, oggi si tende comunque a regalare la stessa oggettistica (una parte personale, l’altra dedicata alla casa), diversamente da ieri, ben pensata in linea con l’arredamento circostante.